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Alle “radici” di Intesa Sanpaolo, con Cariplo e Raffaele Mattioli

L’immagine che accompagna la News sulle celebrazioni per i 200 anni dalla costituzione di Cariplo e per i 50 anni dalla scomparsa di Raffaele Mattioli, ritrae la sede della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, la Cà de Sass, e Raffaele Mattioli nella biblioteca della sua abitazione a Milano

Raffaele Mattioli nella biblioteca della sua abitazione, Milano, novembre 1969 Fotografia Giovanna Borgese - Archivio Storico Intesa Sanpaolo + La sede della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, la Cà de Sass, 1872 Fotografia di Pompeo Pozzi - Archivio Storico Intesa Sanpaolo

Intesa Sanpaolo celebra le proprie “radici” in occasione dei 200 anni dalla costituzione della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde e dei 50 anni dalla scomparsa di Raffaele Mattioli.

Da entrambi Intesa Sanpaolo ha ereditato un modo di operare e una visione non solo sempre attuali ma che la banca di oggi intende valorizzare con ulteriore slancio, alla luce del proprio ruolo di istituzione privata leader in Italia nel Sociale.

Tre interventi aiutano a meglio comprendere le ragioni di questa continuità e rinnovata attualità:

Gian Maria Gros-Pietro: L’eredità di Mattioli 50 anni dopo

A cinquant'anni dalla scomparsa, la figura di Raffaele Mattioli continua a offrire chiavi di lettura utili ad affrontare le sfide che oggi coinvolgono il settore bancario, e non solo quello. Un'eredità che non deve andare dispersa e che Intesa Sanpaolo vuole ricordare, anche coinvolgendo personalità e studiosi nelle riflessioni sulla figura del grande banchiere del Novecento.

La Banca Commerciale Italiana, che Mattioli si trovò a guidare nel 1933, a soli 38 anni, era in piena crisi di identità: avendo privilegiato sino ad allora l'attività di finanziamento alle grandi imprese, aveva disimparato a condurre l'attività di credito ordinario, sulla quale si sarebbe dovuta invece incentrare la nuova operatività. Partendo da questa necessità e dal presupposto che la gestione del credito «è una grave responsabilità, non certo un lavoro da burocrate», che «la banca esiste allo scopo di prestare denaro e che il denaro viene prestato per essere usato» e che è «molto difficile scegliere le persone giuste cui accordare il credito tra tanti volenterosi richiedenti», il tema della formazione del personale divenne il perno attorno al quale rifondare l'organizzazione del lavoro. Una concezione del lavoro umano capovolta rispetto a quella del fordismo: se quest'ultimo mirava, per le mansioni più strettamente esecutive, ad abbassare il costo del prodotto e al contempo aumentare il salario erogabile grazie a un'organizzazione produttiva che tendeva a rendere impossibili gli errori, irrigidendo, contenendo e codificando l'apporto umano necessario alla produzione, Mattioli invece, per la banca, puntava a ridurre gli spazi di pura esecutività per inserire in ogni atto la consapevolezza e la valutazione delle circostanze e delle conseguenze, quindi aprendo la porta alla delega di capacità decisionali anche a livello operativo, vale a dire alle filiali.

La valenza data alla selezione e formazione del personale costituirà un fattore determinante per il rilancio e il rinnovamento della Comit, impegnata nel dopoguerra ad accompagnare le imprese verso le sfide di un'economia che si apriva al mercato europeo e internazionale. Le persone venivano formate abbinando, alla specifica conoscenza dei settori produttivi e del loro andamento, l'acquisizione di una visione ampia che andasse al di là del loro specifico campo d'azione.

Entrambi gli aspetti dovevano essere continuamente aggiornati, con quella che veniva definita educazione "continua", ovvero protratta per tutto il periodo di servizio, e "invisibile", per essere parte integrante del lavoro stesso, due tratti che oggi sono considerati strategici per la competitività di ogni impresa: a maggior ragione per una banca come Intesa Sanpaolo, che infatti dedica alla formazione oltre 12 milioni di ore l'anno.

Come ricordava Mattioli, e come anche oggi avviene in Intesa Sanpaolo, che quella Comit ha incorporato e della quale coltiva lo spirito, alla formazione occorreva affiancare la costruzione di un vero e proprio vivaio interno di giovani talenti in grado di portare le loro competenze a vantaggio del Paese. Ed è questo consapevole obiettivo di lavorare a vantaggio del paese in cui si opera (che vale anche per le controllate estere) che costituisce oggi uno dei segni distintivi di maggiore significato per le persone di Intesa Sanpaolo, e che esse apprezzano maggiormente.

Nel 1946 a Napoli, Mattioli fondò con Benedetto Croce l'Istituto Italiano di Studi Storici che ha visto formarsi intere generazioni di giovani studiosi divenuti a loro volta accademici nelle Università italiane e straniere ed esponenti di rilievo della vita politica, civile, economica e culturale. Quella verso i giovani è solo una delle eredità di Mattioli, che Intesa Sanpaolo cerca di onorare nel suo operare quotidiano di banca leader in Europa. La cultura, la solidarietà e l'impegno civico come fattori di crescita del Paese sono altrettante eredità condivise.

A conclusione, vorrei riproporre una riflessione di questo grande banchiere incentrata sulla crescita degli anni '50, momento storico in cui le risorse a disposizione sembravano infinite, così come l'ottimismo riguardo al futuro. «Di qui a cent'anni — si chiedeva Mattioli - basteranno le risorse di tutti i paesi messi insieme per assicurare un minimo di benessere alla pullulante popolazione del pianeta? Questo è il "miracolo" da impetrare. E i problemi che ancora ci assillano proprio qui in Italia sono ancora tanti e tali che le risorse disponibili vanno inventariate e utilizzate secondo una ben graduata e concatenata scala di priorità. Altrimenti non vi sarà alcun miracolo». Un monito che, a cinquanta anni dalla sua scomparsa, risuona come assolutamente attuale, e ormai urgente: e non solo per l'Italia, ma per il pianeta.

Gian Maria Gros-Pietro, Presidente Intesa Sanpaolo 

Paolo Grandi: Cariplo, un “lievito” economico e sociale

Cariplo è parte della storia di questo Paese: nelle diverse epoche e con differenti configurazioni giuridiche è stata ed è "protagonista". Lo è stata nel divenire la più grande Cassa di Risparmio del mondo, lo è stata nell'aver contribuito alla nascita e allo sviluppo di un campione nazionale ed europeo - Intesa Sanpaolo -, lo è oggi nell'essere punto di riferimento nelle attività tipiche di una Fondazione che ha nel territorio e nelle persone i suoi riferimenti.

Il suo ruolo cruciale, economico e sociale, nella vita dell'Italia, sino al suo confluire in Banca Intesa, spiega perché sia stata analizzata e studiata più di ogni altra istituzione finanziaria di questo Paese. Scorrendo i volumi dedicati di volta in volta tanto all'attività creditizia quanto a quella di supporto al Terzo Settore ne emerge il profilo di una Cariplo lievito dell'economia e della società civile, con una forte vocazione ad essere parte attiva di quella che oggi definiamo economia reale. Lo è stata sin dall'inizio della sua storia, quando la creazione delle Case del Lavoro doveva contribuire a far partire il circolo virtuoso del lavoro che crea reddito che crea risparmio, lo è stata in seguito nel supportare, anche con il credito speciale, la nascita e lo sviluppo del sistema portante dell'economia nazionale: le piccole e medie imprese agrarie, manifatturiere, di servizi. Lo è stata nel diventare pilastro del sistema finanziario nazionale forte di una solidità patrimoniale e di una capacità reddituale con pochi paragoni nel Paese.

Duecento anni di storia da "protagonista", capace di adattarsi a contesti diversi, sempre avendo ben presenti i propri obiettivi e i propri valori, trovano un fattore decisivo nella motivazione e nella passione di chi ha contribuito e contribuisce quotidianamente con il proprio lavoro a questi risultati. Ad ogni livello di responsabilità e per ogni ambito di competenza: l'orgoglio di essere parte di una organizzazione che rende sempre tangibile il proprio operato, la soddisfazione di vedere realizzati obiettivi che raggiungono soggetti apparentemente lontani o deboli, la consapevolezza che queste capacità devono poter contare sull'autonomia e l'indipendenza. Tutti valori che nel tempo sono rimasti immutati e hanno trovato nella professionalità e nel senso di responsabilità il collante fondamentale. E hanno alimentato il senso di essere "istituzione", cioè un soggetto capace di porsi come interlocutore credibile e capace.

In questa prospettiva che mira a verificare nel continuum passato presente e futuro, è possibile identificare tutto ciò che nel tempo è passato dalla Fondazione della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde alla banca Cariplo, a Banca Intesa e a Intesa Sanpaolo. Non è difficile riconoscere nel modo di fare banca di Intesa Sanpaolo obiettivi e valori che trovano riscontro in quei duecento anni di storia. La vocazione verso l'economia reale, la capacità di essere interlocutore quotidiano di operatori economici di ogni dimensione e di differenti esigenze, dalle più sofisticate a quelle più semplici, l'essere competitivi in un contesto di mercato resosi sempre più ampio e selettivo, ma salvaguardando il patrimonio rappresentato dalle persone che quotidianamente e responsabilmente contribuiscono a risultati la cui dimensione e consistenza sono il presupposto dell'autonomia e dell'indipendenza. La volontà di essere inclusivi sin dalla progettazione dei Business Plan proposti al mercato.

Quindi, si riscontra una coerenza di fondo, di valori e comportamenti, che spiega anche la modalità con la quale Fondazione Cariplo ha svolto e svolge il ruolo di azionista. Un azionista stabile e attivo: il ruolo stabilizzatore e propulsivo che Fondazione Cariplo ha saputo esercitare nella nascita di Banca Intesa è servito di esempio per le aggregazioni successive, arrivando a costituire con le altre Fondazioni azioniste quel nocciolo duro di capitale stabile e paziente che costituisce uno di principali punti di forza di Intesa Sanpaolo. Stabile e paziente non significa dormiente o passivo: la recente decisione di Fondazione Cariplo di accrescere il proprio investimento in Intesa Sanpaolo è la prova che l'investimento nella banca è parte integrante di quella attenta politica di gestione e sviluppo del proprio patrimonio che è la prima garanzia del successo degli impegni assunti e delle azioni intraprese. A questo si affianca, più recentemente, lo sviluppo di una corrente di iniziative congiunte o di comune interesse che vedono le Fondazioni azioniste e la Banca agire nel sociale, nella cultura, nella ricerca scientifica e nell'innovazione rappresentata dall'economia d'impatto e circolare.

Più che mai quindi, possiamo dare ragione a un annuncio pubblicitario proposto da Cariplo qualche anno fa: il futuro ha radici profonde.

Paolo Grandi, Chief Governance Officer Intesa Sanpaolo

Gaetano Miccichè: Mattioli, il banchiere che cambiò il credito

Forte è la differenza tra il momento storico di Raffaele Mattioli e i nostri giorni. A cinquant'anni dalla scomparsa è tempo di fare un bilancio di quanta parte della sua eredità è stata raccolta dai grandi banchieri di oggi. A metà del secondo scorso, l'Italia era in pieno boom economico post conflitto mondiale, lo Stato svolgeva il ruolo di traino dell'economia, generando occupazione attraverso le controllate pubbliche, tra cui le banche. Non c'erano rating né il problema del debito pubblico: nessuno pensava che emettere titoli governativi potesse generare un tale livello di debito da porre a rischio la capacità di uno Stato di restituirlo. I mercati erano prevalentemente nazionali, così come la Vigilanza. A loro volta le banche non erano quotate in Borsa e comunicavano i propri risultati una volta l'anno solo durante le assemblee per l'approvazione del bilancio. La concorrenza era un fenomeno del tutto nazionale.

Oggi le banche sono quotate, hanno stretti vincoli di comunicazione, devono approvare budget e annunciare piani di impresa; la concorrenza nel settore e il ruolo di istituti e intermediari è diventata determinante. E i mercati sono globali: Asia, Medioriente e Africa oggi sono protagonisti affermati; e la dimensione aziendale è discriminante per competere a livello internazionale. Negli ultimi tre anni siamo passati attraverso una pandemia, il conflitto russo-ucraino, la nuova crisi in Medio Oriente: ciò dimostra come la discontinuità, spesso imprevedibile e del tutto esogena, sia diventata la normalità mentre la sfida ambientale è sempre più rilevante.

Il sistema del credito ha superato le precarietà croniche ed è molto più solido. La capacità delle banche, in particolare quelle italiane, di affrontare le crisi è migliorata costantemente nell'ultimo decennio, grazie anche a una crescente consapevolezza dei rischi potenziali. A questo hanno contribuito una regolamentazione più stringente e una Vigilanza più pervasiva, attenta e scrupolosa, insieme a una governance profondamente rafforzata e a una maggiore attenzione agli stakeholder in generale.

Il grado di patrimonializzazione degli istituti italiani è ai massimi storici, con un rapporto tra fondi propri e attività ponderate per il rischio allo stesso livello della media delle principali banche dell'area euro, mentre le capitalizzazioni sono più che raddoppiate rispetto al biennio 2007-2008. Molti progressi sono stati compiuti, poi, sulla qualità del credito. Si tratta di un risultato noto, ma che è giusto ribadire ancora una volta per dimostrare l'impegno profuso nel de-risking e nel miglioramento della gestione del credito. Il rapporto tra crediti deteriorati e crediti totali è sceso dal 17% circa del 2015 all'1,2% di fine 2022 al netto degli accantonamenti. Né va trascurato il fatto che le banche italiane sono caratterizzate da una forte liquidità, il cui indice di copertura, pari al 166% a giugno 2023, è molto più alto del livello pre-Covid (149% a fine 2019) e del minimo regolamentare del 100%: siamo al top in Europa. Infine è necessario sottolineare che modelli di business più diversificati e alti livelli di flessibilità operativa possono garantire un miglior grado di risposta ai cambiamenti improvvisi indotti dagli choc in contesti avversi e che le attività finanziarie delle famiglie italiane a giugno di quest'anno erano pari a quasi 5.300 miliardi di euro, quasi il doppio del debito pubblico.

Lo scenario competitivo è dunque profondamente diverso ma le attitudini professionali di Mattioli e i suoi comportamenti sono attualissimi. E’ stato il primo a esaltare l'importanza del conto economico e dell'analisi dell'azienda, accanto allo stato patrimoniale. Ha sempre puntato a conoscere il business dall'interno e da lui abbiamo imparato a prendere in esame più bilanci annuali per capire il trend e i comportamenti di un'impresa. Incontrava imprenditori, capitani d'industria ma anche dirigenti, perché soltanto attraverso la conoscenza delle strutture organizzative poteva percepire il valore di una azienda. Aveva sviluppato la dote più importante per un banchiere: l'intuito personae. Una dote che ti porta a capire subito se una persona è capace di onorare gli impegni. Ha tenuto in forte considerazione il credito mobiliare, concesso in vista di sbocchi sul mercato dei capitali, dove chi lo erogava assumeva un rischio molto simile a quello dell'acquisizione e che non poteva essere concesso dalle banche commerciali. Così nel 1946 creò Mediobanca con l'obiettivo che potesse svolgere proprio quel ruolo di promotore, ossia di partecipazione al capitale delle imprese, per sopperire alla loro sotto-capitalizzazione.

Proprio grazie all'irrobustimento delle imprese, ben supportate dal sistema bancario, si è realizzata la ripresa di questi ultimi due anni che ha consentito all'Italia di uscire meglio dei nostri competitor europei dalla crisi energetica. Ma c'è un concetto particolare che Mattioli ha introdotto, un concetto fondamentale per chi oggi guida una banca: il perseguimento dell'interesse generale. E Intesa Sanpaolo, che ha robuste radici nella sua Comit, sotto la guida di Carlo Messina è diventata la banca che più di ogni altra ha fatto propria quell'insegnamento ampliandone il raggio di attività a sostegno di famiglie, imprese ma soprattutto giovani e più bisognosi senza peraltro nulla togliere a dipendenti e azionisti, grazie a una profittabilità elevata e sostenibile. Giusto l'esempio: consapevole di tale ruolo, di recente per attenuare il forte impatto causato dall'inflazione su bilanci e carrello della spesa, Intesa Sanpaolo ha stanziato a favore di imprese e famiglie circa 30 miliardi. Ciò è stato possibile anche perché abbiamo fatto nostri gli insegnamenti di Mattioli favorendo quotidianamente, attraverso il nostro operato, l'interesse generale. Ma quegli insegnamenti non sarebbero arrivati a noi se gli eredi diretti del grande banchiere di Vasto - a cominciare da Luigi Arcuti, Francesco Cingano, Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti - non ci avessero trasmesso quello stile e quell'ambizione che loro per primi hanno fatto propri.

Gaetano Miccichè, Presidente Divisione Imi – Corporate & Investment Banking Intesa Sanpaolo

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